Il 25 novembre è il giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne: non dobbiamo quindi né festeggiare, né recriminare e nemmeno commemorare… dobbiamo solo unire le nostre forze per prendere coscienza, per autoeducarci non a sopportare, ma ad alzare la testa e pretendere l’applicazione dei nostri diritti. E , soprattutto, dobbiamo imparare ad educare bambini e giovani, maschi e femmine, adulti e anziani al rifiuto della violenza in qualunque sua forma e contro chiunque.
Sradicata la violenza dall’animo degli uomini avremo eliminato la strage silenziosa di tante donne, ma anche l’intolleranza verso le diversità, il bullismo, il falso paternalismo, il concetto di proprietà su un altro essere umano.
Il nucleo del problema è l’educazione secolare che ha dato al maschio la priorità, la condizione di preminenza, l’atteggiamento di prevaricazione nelle grandi, ma anche nelle piccole cose, la mancanza di rispetto in nome di una inesistente e mai raggiunta superiorità sociale.
Perché questo è l’archetipo che accomuna tanti uomini (e, purtroppo anche tante donne che accettano e subiscono) uomini cresciuti nella convinzione che possedere più forza fisica sia fonte di diritti e privilegi.
Potremmo usare tante belle frasi fatte che circolano da un po’ di tempo come “ la violenza è il rifugio dei deboli”, “la violenza è l’ultima risorsa dei vigliacchi”, “si compensa con la violenza la mancanza di auto considerazione”… tutte cose sacrosante, ma sappiamo anche che non è con gli slogan che si fa la rivoluzione o che si cambia una realtà fattuale, bensì con la cultura, attraverso la strada della consapevolezza e dell’orgoglio di genere, dell’educazione e del cambiamento.
Questo piccolo simbolo, la nostra panchina rossa, è solo un asterisco nel lungo e faticoso percorso della nostra rivoluzione, un promemoria sotto gli occhi di tutti per ricordare chi è caduto, ma anche chi si è ribellato ed è risorto a nuova vita, e anche per ricordare che la violenza di genere è equiparabile all’odio razziale, all’ignoranza delle regole sociali, al concetto stesso di società civile.
La panchina rossa deve ricordare che le leggi ci sono, anche se arrivate molto tardi, nel ’56 lo jus corrigendi, nel ’68 il delitto di adulterio, nel ’75 la riforma del Diritto di famiglia, nell’ ’81 le disposizioni sul delitto d’onore e nel 2011 la Convenzione di Istambul (non ratificata però da molti paesi).
I legislatori dunque hanno concretamente cercato di fare la loro parte, ora tocca a noi pretendere e lottare perché queste norme entrino nella mentalità comune, ricordare in ogni momento che il nostro corpo e la nostra vita appartengono solo a noi, che nessuna donna è proprietà di qualcuno, che ogni donna è portatrice degli stessi sacrosanti diritti di fronte alla società, alla legge e agli uomini.
Pensiamo a tutto questo quando passiamo davanti alla panchina rossa e parliamone ai nostri figli.
Elisabetta Bodini